Se è vero che all’inizio lo smart working poteva essere un’opportunità sia per i lavoratori che per le aziende, è altrettanto vero la realtà è ben diversa in molti casi.A volte sembra che si voglia semplificare la discussione con frasi tipo “lo smart-working potrebbeessere la soluzione anche per il futuro “, “ più vicino alla famiglia si riescono a gestire meglio le problematiche, come ad esempio i figli” , “abbiamo notato in poche settimane più produttività da parte dei lavoratori”.
Molteplici sono le riflessioni fatte un po’ da tutti, lavoratori e datori di lavoro, se non che questo paradiso idilliaco sembra poi sfumare quando, passati 60 giorni in casa, si iniziano a rompere gli equilibri tra marito e moglie, o tra coinquilini, e i problemi vengono amplificati quando ci sono figli piccoli da gestire che sono iperattivi e si abituano ad avere la tua attenzione continua.
Vogliamo parlare delle conferenze on-line, interrotte a metà per la linea che va e viene, uno interrompe l’altro, si parla tutti insieme? Gestire le telefonate quando uno parla da una stanza e l’altro nell’altra, o mentre i figli fanno lezione online?Per non parlare del fatto che lo smart-working porta a lavorare anche tutti i giorni senza orario e senza limiti.Quante volte mi è capitato di inviare una mail a un fornitore di domenica e ricevere poco dopo una telefonata, o gestire messaggi su whatsapp di clienti il giorno di Pasqua.Le situazioni di emergenza si gestiscono sempre, ma le amplificazioni e lo stravolgimento che ci ha portato il covid-19, dove ci porterà?Vogliamo davvero dare il potere ad un virus di cambiare radicalmente la nostra vita ?
Sono certa che qualcosa cambierà, è inevitabile, questo nemico invisibile ci ha messo in ginocchio, e di conseguenza per sopravvivere, dobbiamo adeguarci e risollevarci. La situazione è alquanto drammatica, è inutile creare illusioni, ma sono anche certa che prima o poi tutto questo finirà. La mia domanda, a parte il danno economico, sicuramente di primaria importanza, resta: quanto impatterà psicologicamente questo periodo su ognuno di noi? Quanto a lungo ne porteremo le cicatrici?
Ho posto questa domanda alla dottoressa Chiara Morini che oltre alla libera professione gestisce il suo blog trattando svariati argomenti, uno tra questi il covid-19. Il coronavirus è entrato nelle nostre case senza chiedere il permesso con tutta l’arroganza di un nemico invisibile e, per questo, ancora più pericoloso.Ha risvegliato il timore del contagio e dell’infezione.Ci ha obbligato a cambiare radicalmente abitudini limitando le nostre uscite, la nostra libertà di movimento ed espressiva, tenendoci lontano dai nostri cari. Siamo rimasti scioccati e increduli.Abbiamo dovuto imparare nuovi modi di comunicare, “collegarci” con gli altri, lavorare, studiare, intrattenerci.E’ certo che l’impatto è forte e sarà duraturo.Il tempo di ripresa dipende in parte da noi, come sempre. Da come elaboriamo la ferita e quindi ripartiamo. Non c’è vera ripartenza se si scappa dalla sofferenza. In psicologia è stato definito come il paradosso della sofferenza: se faccio di tutto per fuggire da quello che provo va a finire che soffro di più che se avessi accettato di stare in quell’emozioni. Quindi stare a non scappare, solo così poi si riparte! Con rinnovata fiducia e speranza, fieri della cicatrici che non indicano solo il taglio ma anche la guarigione.